Deve essere stato lo spritz bevuto a stomaco vuoto, ma oggi ho aperto un file nuovo e l’ho chiamato “Diario”. Ci ho messo la data odierna (4 maggio 2019) e ho realizzato che era una cosa che non facevo da almeno 15 anni. Gli ultimi li ho passati a raccontare di tutto fuorché la sottoscritta, al contrario rispetto ai miei esordi di grafomane. Ho vissuto tanti di quegli anni di introspezione, da maturare una sana nausea per la descrizione dei
moti d’animo personali, ultimamente sfruttati esclusivamente come spunti narrativi. Mettici pure che da “pischella” era tutto un patimento, soprattutto sentimentale, mentre ora per farmi soffrire ce ne vuole.
Ad ogni modo, complice l’alcolico salito alla testa in assenza di massa nello stomaco, ho rivisitato una pratica che mi era assai familiare in passato: musica a tutto volume e danza forsennata davanti allo specchio. Chissà perché la cosa mi ha sempre ispirata finendo per farmi alternare lunghi momenti di scrittura ad altri di sbattimento al suono della più bieca dance-music. Oggi il tema è “come immaginavo la mia mezza età quando avevo 20 anni?”, che risultati ero convinta che avrei raggiunto, quanto sono diversa da ciò che sognavo per me 30 anni fa?
Premessa: a 20 anni ero una post adolescente gravata da numerosi complessi e scarsa autostima, perennemente fidanzata, sospetto, per incapacità di stare da sola e per accavallamento di innamoramenti. E poi scrivevo, riversavo su carta sentimenti e pianti. Sì, mi piaceva molto piangere per crisi esistenziali e sentimentali, mi dava l’idea di possedere un’anima sensibile e profonda, romantica e preziosa. L’ingenua stupidità che ci vedo oggi non era contemplata, mi sentivo assai complessa e ingiustamente incompresa. Come tutti gli adolescenti.
Sono dura con me stessa? Me lo merito, o meritavo. Allora ero capace di scrivere brani di spropositata melensaggine unita a un lirismo del quale oggi sarei incapace e del quale forse mi vergognerei.
Le mie tre crisi
Il fatto è che a 20 anni ho attraversato tre crisi quasi contemporaneamente: religiosa, sentimentale ed esistenziale. Dopo averci provato con tutte le mie, sparute, forze spirituali ho abbandonato la, scarsa, fede cattolica per abbracciare un sano anticlericalismo prima e un deciso agnosticismo poi (nel mezzo c’è stato spazio per un personale e patetico animismo).
A questa è seguita la rivoluzione sentimentale: ho lasciato il fidanzato con il quale da tre anni progettavamo una numerosa famiglia insieme. La crisi esistenziale, invece, mi ha portata a cambiare facoltà universitaria e a passare da economia e commercio a filosofia. Decidere di diventare un’insegnante anziché una commercialista, come mio padre, non fu cosa da poco per un animo introspettivo e fondamentalmente caotico come era il mio allora. Insomma, nell’arco di pochi mesi ho abbattuto tutti i pilastri della mia esistenza, ne sono uscita interiormente rotta e le fratture sono durate per anni.
Futuro anteriore
Ad ogni modo: cosa pensavo che sarei diventata a 50 anni? Di sicuro un’insegnante di filosofia, una di quelle che ispira acute riflessioni e buoni sentimenti nei propri allievi (ovviamente sveglissimi liceali) e che dispensa pillole di saggezza ad ogni smezzata di trimestre. Sicuramente sarei stata la moglie di qualche strafigo professionista. Figli non meno di due, forse il terzo adottato perché sognavo la maternità multipla: biologica e adottiva per fare del bene all’umanità. La prole sarebbe stata la mia più grande avventura emotiva-sentimentale e pure intellettuale perché avrei vissuto la maternità con spirito scientifico oltre che amorevole.
A 50 anni sarei quindi stata una madre e moglie prossima alla pensione e magari, con un po’ di fortuna, non avrei dovuto aspettare molto per diventare addirittura nonna.
Mancata madre
E invece come sono oggi, a 50 anni? Non sono diventata un’insegnante di filosofia, eventualità che allora mi avrebbe addolorata infinitamente, ma sono diventata una giornalista: opzione non contemplata. Quanto allo scrivere, allora erano solo i diari quelli a cui pensavo ma l’idea di diventare una scrittrice già mi abitava in vago modo.
Non mi sono mai sposata ma, soprattutto, non sono diventata madre, per quanto ci abbia provato con tutte le mie forze. Ecco questo sì che allora mi avrebbe distrutta: se avessi saputo a 20 anni che non sarei mai riuscita a diventare madre, la sofferenza mi avrebbe schiacciata. Allora ero convinta che sarei impazzita dal dolore se nessun figlio fosse venuto a regalarmi la condizione di genitrice.
In niente mancante
E invece, inaspettatamente, io non soffro. Nessuna disperazione mi abita e, a rischio di sembrare la volpe che non arriva all’uva, sempre più spesso penso che la sterilità mi possa avere salvata da qualcosa che immaginavo allora assai romanticamente e che in realtà si sarebbe potuta trasformare nella mia peggiore condanna. Certo la creatura mi è mancata, ma mi manca sempre meno. Potenza, forse, della perita sveglia biologica che per anni ha suonato al massimo volume e oggi resta zitta e quieta. Devo inoltre dire che la maggior parte dei miei coetanei con prole ce la mette tutta per non farsi invidiare.
L’assenza di maternità mi ha concesso, invece, inaspettate energie e tempo tutto per me. Per permettermi di diventare ciò che volevo, o meglio, che ho cominciato a volere dopo i 20 anni.
Meglio di quanto mi aspettassi
Oggi sono molto più libera, intelligente, acculturata, indipendente, serena, bella, in forma ed energica di quanto potessi aspettarmi allora. Ho una casa mia, assieme a un mutuo solo mio, e una disponibilità economica che non è niente di che ma sicuramente maggiore rispetto a quella di un’insegnante.
Unico reale rimpianto è avere scritto un solo libro, Tango in campo minato, mentre sono numerosi quelli che mi abitano la mente e premono per uscirne fuori.
L’amore indipendente
Quanto alla situazione sentimentale, oggi sperimento, per la prima volta in vita mia, la libertà di vivere una relazione dalla quale non pretendo nulla, che prescinde nel modo più assoluto dall’idea e dalla volontà di mettere su famiglia. Essendo ormai troppo tardi per avere figli, non ho più alcun nido da allestire. Ho una casa progettata per una coppia e non c’è mai stata alcuna cameretta per la futura creatura. Vivo oggi la piena libertà di amare un uomo che non sarà mai il padre dei miei figli e quindi non deve per forza adattarsi al mio ideale di compagno-genitore.
Oggi capisco che, inevitabilmente, ogni relazione precedente è passata attraverso il vaglio della progettata maternità. Al contrario, ora posso anche stare con un uomo che forse sarebbe un pessimo padre e al quale non importa un fico secco di riprodursi. Ancora libertà quindi: quella di amare chi mi pare e conviverci finché mi/gli pare.
Insomma, oggi sono molto diversa da come mi immaginavo di diventare e, sospetto, migliore.